23 marzo 2006

Cronache dalla frontiera 3

Sono passate altre due settimane. Ieri siamo tornati alla capitale per una riunione. Un viaggio lunghissimo, iniziato in un villaggio fra le montagne, alle due del mattino. Due ore di cammino fra le rocce e i campi di mais, alla luce della luna e delle torce elettriche, per raggiungere la fermata del bus e affrontare dieci ore di "camioneta".

Ma facciamo un passo indietro. Nelle mie cronache mi ero fermato alla prima comunità. È tempo di proseguire.

Nella foto si vede la casa in cui pernottiamo nella seconda comunità, Pa. La casa appartiene ad una famiglia relativamente benestante, che possiede molte "cuerdas" di terreno (una cuerda equivale a 400 m2) e coltiva caffè, come la maggior parte degli abitanti del villaggio.

Molti coltivatori di Pa. sono organizzati in un'associazione che vende caffè biologico ad una organizzazione per il commercio equo negli Stati Uniti. Ricevono 800 quetzales per quintale (120-130 franchi), contro i 600-650 quetzales del caffè "normale" (i prezzi quest'anno sono abbastanza buoni, negli anni scorsi erano scesi fino a 300 quetzales).

Il villaggio è immerso nel verde dei "cafetales", degli alberi di banane, di arance, di limoni. Il caffè cresce meglio se riceve ombra, ci spiegano. Ripidi sentieri congiungono le case, perse nella vegetazione.

Un giorno aiuto una delle famiglie che visitiamo a ripulire il "cafetal". Arbusti e erbacce crescono in fretta, in questa terra fertile, e rischiano di soffocare la piantagione. Avanziamo a colpi di machete, stando attenti a non rovinare le piantine di caffè, gli alberi da frutta e le verdure seminate disordinatamente nella piantagione. "Sei sicuro di non tagliarti un piede con il machete?", mi chiede R.

I ragazzini che stanno raccogliendo legna nelle vicinanza sorridono vedendomi lavorare. R. si stupisce quando gli parlo dell'agricoltura nelle nostre montagne. Chiede se si coltiva mais, se si mangiano tortillas, se cresce frutta, quanta gente coltiva la terra. In un'altra comunità qualcuno ci ha chiesto se i contadini nel nostro paese sono uguali a noi, bianchi come noi. "Campesino" qui è quasi sempre sinonimo di "indio".

All'ora di pranzo mi offrodi trasportare il carico di legna di uno dei figli di R. Pongo la fascia di sostegno sulla fronte e avanzo cauto, stando bene attento a dove metto i piedi. Me la cavo abbastanza bene, ma è il carico di un bambino, forse 20 chili. Gli adulti trasportano carichi di almeno 50 chili.

Il bambino cammina al mio fianco, contento di essersi liberato del peso. Va a scuola, parla piuttosto bene lo spagnolo e sulla strada di casa mi insegna i nomi degli attrezzi che ha imparato a conoscere fin da piccolo: "azadon" (zappa), "piocha" (piccone), "pala". Forse dentro di sé sorride, vedendo per una volta il mondo alla rovescia.