Cronache dalla frontiera 1
13 febbraio: stiamo camminando da tre ore, io e la mia compagna di viaggio francese. Pioviggina e i nostri scarponi sono pieni di fango, un fango rossastro che si incolla alle suole e rende il passo pesante. Nel bosco circostante strani cinguettii suggeriscono una fauna ignota. Attraverso la nebbia comininciamo ad intravvedere le case di Y. Tra mezz'ora raggiungeremo la prima delle tre comunità che visiteremo durante questo mese. Alle spalle abbiamo un viaggio di undici ore dalla capitale, sei delle quali passate in una "camioneta" sovraffollata, su una strada sterrata e piena di buche.
Appena ci avviciniamo al villaggio un gruppo di bambini comincia a correre verso di noi. Gridano frasi in chu'j, uno dei tanti idiomi maya del Guatemala. Riconosciamo una sola parola: "Acompañantes!". In un attimo ci raggiungono, ridono, si aggrappano ai nostri zaini, salutano Sabrina, che già conoscono, chiedono il mio nome. Dico Andrés, rispondono Antil, il corrispettivo in chu'j.
Y. è un piccolo villaggio di una ventina di case, senza strada, senza luce, lontano da tutto salvo che dalla frontiera con il Messico. Lo fondarono negli anni Novanta i sopravvissuti di uno dei tanti massacri di civili durante la guerra in Guatemala, tornati nel loro paese dopo più di dieci anni di esilio in Chiapas. Le case sono di legno, con un solo locale che serve da cucina (con il focolare aperto, senza camino), soggiorno, camera da letto. Nelle terre attorno al villaggio si coltivano caffé - che in buona parte viene venduto - e mais, banane, arance, ananas, fagioli, vari tipi di verdure.
"Siamo i poveri resti del massacro", dice uno degli anziani. In realtà, una buona parte degli abitanti è nata dopo la fase più cruenta della guerra all'inizio degli anni Ottanta. I giovani si sposano a 14-15 anni, la pianificazione familiare è un concetto sconosciuto, i bambini sono numerosissimi. Nel villaggio c'è una scuola, dove dormiamo. I due maestri si fanno vedere solo ogni tanto. Preferiscono partecipare a riunioni più o meno verosimili in località meno sperdute di Y. In ogni caso i bambini vanno a scuola solo la mattina - quando ci vanno.
In Guatemala esistono, perlomeno nell'opinione della gente e dipendentemente dal livello sul mare, tre zone climatiche: "tierra caliente", "tierra temblada" e "tierra fria". Gli abitanti di Y. dicono di vivere in "tierra caliente". Per questo vi si può coltivare il caffè. Il villaggio si trova a 800 metri di altitudine e nelle giornate di sole fa davvero caldo. Quando le nubi si addensano sopra le montagne che lo circondano, l'idea di "tierra caliente" diventa però molto relativa.
"Che animali vivono nelle montagne qui vicino?", chiedo a F., un giovane di forse 18 anni con il look da malavitoso (pare che dopo la proiezione in un villaggio vicino di un film sulle bande giovanili - le maras -, la moda "gangster" si sia diffusa in tutta la regione). "Daini, armadilli, uccelli, elefanti", risponde sornione. Elefanti?... Sopra il focolare della sua casa stanno appesi i cadaveri disseccati di uno scoiattolo e di un "tigrillo", una specie di grosso gatto selvatico.
Un vecchio ci parla di un serpente a sette teste che vive nella laguna a due ore di cammino dal villaggio. Ci siamo stati, alla laguna, attraversando una foresta rigogliosissima. Nessuna traccia del mostro, però lo stupendo panorama ci ha ampiamente ricompensati. Non per niente alcuni uomini d'affari vicini all'attuale governo hanno mire turistiche sulla regione. Parlano di "ecoturismo", forse per attirare capitali stranieri, ma i conflitti con le comunità che da secoli usano le terre attorno alla laguna sono già programmati.
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