08 aprile 2006

Senza titolo

07 aprile 2006

Messico

Oltre il colle c'e' il Chiapas. Dalle radio del villaggio di Y. risuonano gli slogan e i discorsi della radio zapatista. "Il governo messicano ha aiutato i rifugiati guatemaltechi durante la guerra e ora aiuta la gente povera", ci dicono. "Il governo guatemalteco invece non fa niente".

Dal villaggio una strada sterrata conduce oltre la frontiera, passando fra boschi e campi di mais. Gli abitanti di Y. attraversano regolarmente il confine, per fare spese o per visitare familiari che non sono tornati dall'esilio. Senza documenti.

In meno di un'ora di cammino si raggiunge L., il primo insediamento in territorio messicano. Passiamo fra i cippi di confine bianchi, che tracciano una linea retta nel paesaggio, ignorando alture e avallamenti. Nessuna garrita, nessun filo spinato. "Qui non ci sono guardie di confine", ci hanno assicurato a Y.

Giungiamo nel villaggio senza problemi, attraversando una vegetazione ricca di fruscii, di cinguettii, di ronzii. "Da dove venite?", ci chiedono due uomini sulla trentina appoggiati ad una Volkswagen maggiolino, nella piazza del municipio. Alle loro spalle si vedono le grate del carcere. Ci presentano l'alcalde e ridendo dicono: "E' lui che tiene le chiavi. Fate i bravi".

A L. quasi tutte le case sono di cemento. Ogni tanto si scorge un'automobile. I negozi sembrano ben riforniti. E' gia' un altro mondo, rispetto al Guatemala.

Lungo la via del ritorno la maggiolino ci sorpassa. "¡Adios mi amor!", urla il guidatore dal finestrino aperto alla mia compagna di viaggio. Sorride furbescamente, sotto i suoi baffoni messicani.

Cuba

Passiamo nella casa di G. per salutarlo. Sta sdraiato nel suo letto, per riposarsi dopo il lavoro. Sorride e fra i denti brillano alcune stuccature metalliche. Attorno a lui i bambini spiano fra le tavole della casa, ridono degli esercizi ginnici di uno dei maestri del villaggio.

"Cuba!", urla uno di loro. E' il soprannome di uno dei bambini, Pascual. G. sorride di nuovo . Cuba, come il paese caraibico. "E' un paese liberato, no? Un paese democratico." "E' un paese socialista", rispondo diplomaticamente. "Liberato come il Vietnam", dice ancora G. Non so bene come rispondere, se raccontargli tutto quello che e' successo nel frattempo. Rimaniamo in silenzio, mentre la luce della sera disegna strisce di luce sul pavimento di terra battuta.

Di G. raccontano che e' stato guerrigliero e che aveva tre mogli. Ora appartiene alla chiesa carismatica. Tre dei suoi figli portano il suo stesso nome. Sorride di nuovo, quando ci congediamo. Il suo sguardo si perde nel vuoto, come per nostalgia.